Chi ha paura della superstizione?

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Buongiorno e buon venerdì diciassette,

per affrontare uno degli argomenti più pop(ular) ci avvaliamo del detto “quattro occhi sono meglio di due”, perciò eccoci qua: Francesca e Arianna.

Non è effettivamente il primo venerdì diciassette dell’anno, ma quello di febbraio ha preso tutti alla sprovvista e nessuno ha fatto in tempo a preparare gli scongiuri necessari. Quanti di voi sono scampati alle scale, agli ombrelli aperti al chiuso, ai carri funebri vuoti o al maglioncino viola che tenete nascosto nell’ultimo cassetto in basso a destra del vostro armadio (quello che non mangiano neanche le tarme)?

Se ne siete usciti incolumi la prima volta, avrete una buona probabilità di cavarvela anche oggi, tanto più che il CICAP ha deciso di dedicare questa giornata all’anti-superstizione. La scelta della data non è casuale, ovviamente, i venerdì 17 sono temuti persino da chi organizza gli incontri sulla sicurezza sui luoghi di lavoro: con il famoso “non si sa mai” proprio oggi Francesca ne seguirà uno, giusto per mettere tutti tranquilli.

Alcuni di voi sorridono sotto i baffi, altri lanciano segni di diniego, altri ancora ci credono immensamente e forse leggeranno l’articolo domani, quando il peggio sarà passato, e poi ci sono quelli che: “non ci credo ma…”. Quanti errori in una sola frase: è bene chiarire che superstiziosi si nasce e lo si diventa, infatti il nostro livello di superstizione è direttamente proporzionale al livello di coinvolgimento che abbiamo nei confronti di ciò che facciamo.

Partiamo con la semplice definizione del termine:

superstizióso agg. [dal lat. superstitiosus, der. di superstitio -onis «superstizione»]. – Che accetta e segue credenze e pratiche che costituiscono superstizione: è un uomo s.gente s.non devi essere così s.!la magia di cui parlava era una fantasia della sua mente ingenua e s. (U. Eco); che è frutto e conseguenza di superstizione: credenzepratiche s.timore s.aveva una fede cieca e s. nel potere di quel talismano; estens., tempi s.età superstiziose, in cui era diffusa la superstizione. Non com., essere s. di fare o dire qualcosa, evitarlo per timore superstizioso: il fuoco si disse «fax»o pure «lux»come si appella ancor oggi dalle donnicciuole in Napoli, superstiziose di dire «fuoco» (Vico). Avv. superstiziosaménte, per superstizione: evitare superstiziosamente il numero 13 (o il 17).

Treccani

Francesca

È abbastanza chiaro che la provenienza della superstizione è religiosa e molti di noi credono di averla scampata semplicemente essendo atei.

Baggianate.

Ogni singolo credo religioso ha le sue superstizioni, perché si è sempre occupato di definire eventi poco chiari, di difficile comprensione, alcuni dei quali ora vengono spiegati con la scienza.

La scienza è venuta in nostro soccorso in molte occasioni, ma nonostante questo fatica ad abbattere la barriera di queste credenze negative, e il perché è più semplice di quel che si crede: ignoranza.

Un tempo essere ignoranti era più facile, per ogni cosa nuova scoperta ce n’erano un altro migliaio a rimanere oscure. Le divinità e i libri sacri erano il mezzo tramite il quale le persone arrivavano a giustificare le eclissi, i terremoti, l’esistenza di isole, la pioggia o cose più complesse come la morte.

Oggi essere ignoranti è proprio una questione di scelta, con l’avvento di internet l’informazione è a disposizione a ogni ora di ogni giorno dell’anno: viene quasi da chiedersi come si possa essere ancora superstiziosi!

Ecco cosa penso: la superstizione è una pura e semplice questione culturale, a cui è difficile smettere di credere dal momento che ci è stato insegnato che “non si fa” o “si fa” in quel determinato modo. La sfida del Percorso a ostacoli per superstiziosi del CICAP metterà davvero a dura prova anche il più convinto anti-superstizioso: all’idea di rompere uno specchio o di passare sotto una scala sento il corpo formicolare, una sensazione di rifiuto verso qualcosa che il mio lato razionale riconosce non essere pericolosa, ma che metto in dubbio.

In più perfino la superstizione ha avviato una sorta di evoluzione: insieme agli evergreen tramandatici dalle nonne, ognuno di noi contribuisce ad alimentare il fuoco delle credenze. Gli escamotage dello studente li abbiamo applicati tutti: mettersi la maglietta fortunata, la collana della nonna, l’elastico per capelli indossato durante tutto il periodo di studio… Ho sentito di persone che per prima di dare l’esame dovevano incontrare una suora o vedere una macchina gialla per sentirsi sicuri e presentarsi all’appello.

E tutto perché l’ignoto continua a spaventarci invece che stimolarci.

Arianna

Già, le superstizioni sono un fatto culturale, ma poiché la cultura non è mai uguale a se stessa, siamo noi a crearla ed è in continua mutazione, non è detto che anche gli specchi rotti e il cappello sul letto non si possano sfatare. Tuttavia, se una terapia d’urto in stile CICAP è troppo per voi, si può sempre cominciare per gradi.

Personalmente ho trovato utile cercare le origini storiche delle credenze più comuni; trovarmi di fronte a un fatto logico, piuttosto che al nebuloso rischio di auto-procurarmi sette anni di guai, ha reso ai miei occhi certi gesti molto più innocui. Ad esempio, un gatto nero che attraversa la strada portava sfortuna nel Medioevo nella misura in cui, di notte e confuso nel buio, faceva imbizzarrire i cavalli che, di conseguenza, disarcionavano i padroni; e quale altra sfortuna può generare la caduta dell’olio a terra se non lo spreco di un bene costoso? In fine, il viola è il colore dei paramenti sacri usati durante la Quaresima, periodo durante il quale, anticamente, venivano vietati tutti i tipi di rappresentazioni teatrali e di spettacoli pubblici; perciò l’unico tipo di malasorte che il viola porta agli attori è il mancato guadagno.

Ovviamente, secondo ogni tradizione magico esoterica, fin dai tempi più antichi, è necessario che le forze opposte siano sempre bilanciate, quindi per ogni superstizione esiste uno scongiuro. Lo scongiuro è a tutti gli effetti un esorcismo, per contrastare i possibili danni provocati dalle forze maligne. Dal tipico atto scaramantico di toccare “certe parti del corpo”, al gettare il sale alle spalle, fare il gesto delle corna (immaginate quanta poca sfortuna circola per i concerti Metal!), fino a quelli tipici di ogni regione italiana: ce n’è per tutti i gusti!

Dunque mi domando: è davvero possibile vivere così? Controllare ogni gesto e avere pronto lo scongiuro adatto nel caso in cui veniamo colti in fallo con uno specchio da borsetta che ci è caduto di mano (a me succede continuamente)? Contemporaneamente, però, che male c’è a sentirsi più sicuri a un esame o a un colloquio sapendo che stiamo indossando la suddetta maglietta portafortuna? Forse, allora, non sono tanto le superstizioni in sé e per sé a essere pericolose, quanto l’atteggiamento di chiusura mentale che ci porta a temerle, perché è lo stesso che ci impedisce di approfondire, fare domande, essere curiosi e, soprattutto, pensare che il nostro successo o insuccesso derivi da esse.

Insomma, non sentitevi in colpa se evitate di passare sotto la scala di un imbianchino (anche perché rischiate di essere schizzati dalla vernice!), fate solo in modo che non sia questo a condizionarvi la giornata! Dopo tutto, lo insegnano anche in uno dei luoghi più imprevedibili della storia della tv, la Twilight Zone:

“Hai intenzione di lasciare che quella cosa ti condizioni la vita? […] È come se tutte le paure della tua vita siano contenute in quell’unica macchina. Non ha importanza se sappia prevedere il futuro! Importa che tu, ora, credi di più nella fortuna e nel destino che in te stesso. Devi decidere tu della tua vita. Tu hai una mente, una mente meravigliosa. Non distruggerla cercando di giustificare le risposte di quella stupida macchinetta davanti a te stesso.”

Ai confini della realtà

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