La serenità di un quartiere a modo, con belle case, famiglie bianche e privilegiate viene interrotta dall’arrivo di un nuovo vicino: James Harris, bello e misterioso come solo i protagonisti dei romanzi del club del libro locale sanno essere.
All’inizio sembra tutto in regola: James è un uomo benestante, capace di farsi apprezzare e presente per gli amici.
Tutto va a gonfie vele, finché Patricia Campbell non inizia a sospettare di lui, a vederlo sotto un’altra luce: e se James fosse un serial killer?
O peggio, se fosse un vampiro?
Così Patricia e le sue amiche del club del libro, tutte appassionate di true crime, si trovano coinvolte in una storia come quella raccontata nei romanzi.
Qualcosa che metterà a rischio la loro vita tranquilla, tirando fuori tutti gli scheletri nascosti.
Condizione femminile e razzismo: i punti di forza del romanzo
Era un po’ che aspettavamo un libro del genere: un comedy horror che inserisce nella quotidianità degli anni Novanta una delle creature più narrate.
Questa, però, è solo la punta dell’iceberg. Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe racconta la condizione femminile e il razzismo in America, partendo da un’ambientazione che risulta familiare a tutti: il piccolo paesino, dove all’apparenza ogni cosa è fantastica.
E probabilmente per qualcuno lo è davvero, a patto però che tu non sia donna o la tua pelle non sia bianca.
Le protagoniste di questo romanzo sono casalinghe, e in un certo senso sono le neo-principesse di cui leggevamo nelle favole, o vedevamo nei lungometraggi Disney.
Il ruolo della principessa è abbastanza semplice: desidera l’amore, vive in un castello, la sua realizzazione è strettamente legata al palazzo e all’essere sposata.
Sono figure anche coraggiose, che poi vengono salvate dal loro principe trasformando lui in un eroe. Anche se fino al minuto prima se l’erano cavata piuttosto bene.
Quasi viene da chiedersi perché il lungometraggio ha il loro nome nel titolo!
Non tutte le principesse sono così, solo la maggior parte.
E qui ci troviamo di fronte a casalinghe, associate alla casa, al marito e ai figli a tal punto da trasformare questo meccanismo in un’arma a doppio taglio.
Ambientazione anni Ottanta/Novanta
Nel leggere il romanzo, ci siamo infatti imposte di ricordare che è ambientato fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta.
Perché la condizione in cui si trovano le donne protagoniste, senza riferimenti temporali al movimento hippie o ai delitti di Charles Manson, avrebbe potuto tranquillamente essere quella degli anni Cinquanta.
Quindi non è tanto il ruolo di casalinghe a cui sono relegate le donne protagoniste, sembra più che altro che l’intera società dia per scontata questa condizione.
Per questo solo una figura come Patricia avrebbe potuto essere la personalità narrante di questa storia: è nella sua mente che si insinua il dubbio che possa esserci qualcosa di più nella vita della famiglia perfetta in una casa perfetta nel vicinato perfetto.
Guardando dietro questa finta facciata, si vede la lotta costante, la fatica di affrontare la vita di tutti i giorni passo dopo passo quasi da sole. Ed è leggendo romanzi e brossure sul crimine per il suo Not-quite-a-book-club che Patricia riscopre quella parte di sé rimasta sopita. Insofferente al ruolo che le è stato imposto, in cerca di un minimo di emozione rispetto alla quotidianità asfissiante, ecco che l’autore riesce con un colpo di mano ad affiancare alla trama il messaggio che vuole esprimere: la morale che concorre alla suspense.
Essere uomo e bianco: il concetto di privilegio
È molto interessante come l’autore, Grady Handrix, metta in luca la problematica: le donne vengono incoraggiate, obbligate, a vedersi come mogli, madri e casalinghe. Per poi sentirsi sminuite per il fatto di esserlo.
Un punto importante è proprio il confronto con l’antagonista: un uomo bianco e sconosciuto avrà più voce in capitolo di loro.
Non importa se da quando James è arrivato accadano cose strane: la sua domestica è sparita, dei bambini muoiono suicidi in un modo molto strano e la presunta zia sembrava posseduta quando ha aggredito Patricia.
Le mogli vengono zittite, umiliate con la costante richiesta di scusarsi per le loro idee.
Nonostante si tratti di un romanzo di finzione, Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe è un romanzo capace di mostrate le problematiche quotidiane delle donne e non solo.
I bambini che spariscono o vengono aggrediti per primi sono quelli di colore, che vivono nelle case popolari.
Di loro non si cura nessuno, perché non rientrano nei canoni della società bianca.
Un privilegio con i fiocchi se ci pensi, perché nessuno può scegliere di nascere bianco.
Come tutte le favole migliori, la morale ci viene offerta lungo tutto il romanzo, ed è formata da tre punti importanti.
Il primo è di ascoltare e dare importanza a ciò che desideriamo per noi stessi. Anche se toglierci di dosso ciò che ci hanno insegnato per anni, e che permea la nostra società in modo tossico, non è affatto facile.
Il secondo è il sostegno tra donne, anche se parte dell’insegnamento ricevuto tende a creare inimicizie e a trovare nella donna il capro espiatorio.
Il terzo è sfruttare il nostro privilegio per aiutare chi viene schiacciato da questo privilegio.
The nameless not-quite-a-book-club

Tutto questo viene espresso alla perfezione dalle copertine di entrambe le edizioni: la pesca con i due buchi del morso che sanguinano per la versione americana, i cupcake anche quelli sanguinanti della versione italiana. La sottile ma violenta rottura di qualcosa di apparentemente integro e delicato.
Pesche e cupcake diventano il simbolo di una vita all’insegna dell’apparenza e della perfezione.Un mondo verso cui le donne vengono spinte con l’idea che sia proprio ciò che vogliono e devono desiderare.
Anche se si parla di Slaying Vampires, siamo lontani mille miglia da Sunnydale e Buffy Sanders: la protagonista non è romanticamente invischiata nelle vicende amorose dei liceali
È alle prese con la conduzione di una vita vera che, come un vampiro, le sta succhiando le energie perché non le lascia spazio. Tuttavia, come diceva Eleanor Roosvelt:
La donna è come una bustina di tè: non si può dire quanto è forte fino a che non la si mette nell’acqua bollente.
Un dettaglio importante è l’impronta personale della narrazione data dall’autore.
I ricordi di sua madre e la diversa visione che si ha dei propri genitori quando si passa dall’adolescenza all’età adulta. Quando dall’essere il figlio ribelle e incompreso diventi tu l’adulto che deve fare i conti con un figlio.
Insomma, cosa succede quando ci cadono le responsabilità addosso?
Che la parte più recalcitrante del nostro carattere comincia a fare capolino. Ed è anche quella più forte.
Arianna, lettura della versione inglese
“Sono contenta di avere letto la versione in lingua originale proprio per l’impronta personale della narrazione, essendo aspetti che l’autore ha ripreso dalla sua stessa vita”
Voto: 🤓🤓🤓😶😶
Casa editrice: Quark Books
Pagine: 404
Francesca, lettura della traduzione italiana
“Non mi sono piaciute molto le parti narrate in velocità, in cui l’autore riassume in poche pagine il formarsi dell’amicizia tra le donne protagoniste o quando, più avanti, c’è uno scarto di qualche anno per arrivare alla parte finale. Sono però due punti che passano in secondo piano, e l’ho trovata una lettura interessante e coinvolgente”
Voto: 🤓🤓🤓🤓😶
Casa editrice: Oscar Mondadori
Pagine: 456
Disponibile anche in ebook
Ciao PdQ,
Ottimo articolo che ha stuzzicato la mia curiosità anche se mi sento di fare un piccolo appunto:
Perché una storia “inventata” deve riportare riferimenti men vs women?
Io non ho letto il libro e mi prometto di farlo, anche se ho già un discreto elenco, ma quello che mi ha “suonato” come campanellino durante la lettura di questo articolo è stato “possibile che certi stereotipi debbano scivolare su posizioni femministe/maschiliste?”
Tutto quello che ho letto in questo articolo è vero, contestualizzato alla società attuale, ma io credo che se riuscissimo ad “elevare” la casalinga, ad “elogiare” la madre e a “valorizzare” la moglie, anche in articoli come questo, forse, e ripeto “forse” iniziamo nell’impresa di ridare alle parole il suo giusto significato e vero valore. Spero di non essere etichettato maschilista, femminista o altro in quanto, già il fatto che si tenda ad “etichettare” qualcuno non si avvicina al concetto che vorrei esprimere.
Ad esempio: se ho ben capito il protagonista è un uomo, bianco e affermato ma vampiro. Cosa significa questo? che è il cattivo? oppure il buono che mangia i cattivi? O semplicemente un uomo “qualunque” che, grazie a questo anonimato, riesce a nascondere il suo lato oscuro meglio di altri?
Per me, sulla base di quanto letto in questo ottimo articolo, è una creatura con delle esigenze difficili da soddisfare nel contesto in cui si trova e le principesse non “desiderano l’amore, vivere in un castello, la loro realizzazione è strettamente legata al palazzo e all’essere sposate” ma sono tesori inestimabili per i quali vale la pena sacrificarsi e combattere. Vista con queste parole non suona più romantico?
Invece le principesse sono esseri viventi come i principi e, se le loro scelte dovessero essere volute invece che incoraggiate? (mi riferisco ad entrambi i ruoli)
Scusate l’impeto delle mie parole ma, in un periodo difficile come quello che stiamo attraversando dove le distanze amplificano le divergenze, sentivo il bisogno di provare ad esprimere la mia opinione tralasciando volontariamente la parte sul razzismo che richiederebbe un commento separato.
La fantasia è la migliore medicina che abbiamo 😉
Ciao Fabio, ci siamo consultate prima di risponderti perché hai sollevato dei punti importanti e ci tenevamo a risponderti per bene.
Il punto non è enfatizzare una faida “man vs women”, per niente, anzi l’esatto cogtrario: il maschilismo e l’imposizione di ruoli sono un nemico di ogni PERSONA indipendentemente da genere e orientamento, perché non permettono a nessuno di essere ciò che sarebbe nella sua natura. Perciò, ottima cosa mettere da parte le etichette, soprattutto in un momento in cui, come giustamente dici tu, è molto facile sentire molto di più le distanze che le vicinanze!
Andiamo oltre. Il ruolo della fantasia: anche noi siamo d’accordo sul fatto che la fantasia sia uno dei mezzi migliori, ed è proprio per questo che riesce a farci riflettere sulla quotidianità e le sue problematiche, basti pensare ad un mostro sacro come Tolkien che è stato un grande sostenitore del suffragio universale e ha inserito un personaggio come Éowyn. In sostanza, il fantasy è una sorta di veicolo che può servire tanto per evadere dalla realtà quanto per vederla dall’alto in modo distaccato.
Le differenze di genere e razza nel libro sono proprio uno dei pilastri della trama, la narrazione ruota intorno alla frustrazione delle donne protagoniste per un ruolo che più che scelto, sembra l’unica via naturale offerta loro. Il punto non è che l’uomo se è maschio e bianco deve essere per forza il nemico, ma che ogni persona in quella società (USA, anni ’80/’90) viene valutata non a sé, ma in relazione al ruolo che ha rispetto a qualcun altro. Per quanto riguarda Patricia e le altre protagoniste, brave mogli, brave nuore, brave madri.
Quindi, sicuramente il modo in cui hai posto l’immagine tu è più romantico, ma non si tratta né nel libro né nel nostro articolo di biasimare la casalinga e la madre (anzi, nell’introduzione alla versione inglese l’autore vuole proprio mettere in luce come solo da adulto ha imparato ad apprezzare veramente tutto quello che sua madre faceva) quanto la sua imposizione e la scomparsa della persona in sé e per sé dentro e dietro quel ruolo.