Omocausto: l’omosessualità nella storia

Omocausto: l’omosessualità nella storia

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Lo strumento più utilizzato da chi scrive (soprattutto online), secondo solo alla tastiera, è il calendario.
Capire di cosa parlare e quando parlarne permette di organizzare il piano editoriale, senza il quale ci sentiremmo persi.
Immaginate la mia gioia quando mi è stato regalato il calendario di Bossy, subito inserito tra le stories di Instagram a inizio gennaio.
Questo calendario ricorda le date che hanno segnato la storia, importanti per il femminismo e la comunità LGBT+. E ogni mese si fa portavoce di un tema.
Quello di gennaio? L’Omocausto, anche titolo del libro a cura di Triskell Edizioni che parla dello sterminio della comunità LGBT+ nei campi di concentramento.

L’omosessualità è un argomento spesso ignorato dai libri di storia al liceo.
E ignorarlo penso dia solo credito all’omofobia, anche quella ben mascherata.
Per questo vogliamo presentare l’omosessualità nella storia.
Ecco com’è andata.

Grecia classica: il cammino iniziatico

Percorso da seguire

La Grecia classica è la culla della civiltà occidentale. Da lei arrivano molti degli insegnamenti politici, culturali e sociali sui quali ancora oggi ci basiamo.
E nel caso sia sfuggita, a quel periodo risale la prima storia d’amore omosessuale narrata nella letteratura. Anche se a noi viene presentata in modo diverso.

Parlo di Achille e Patroclo. Delle cui gesta narra Omero nell’Iliade, che risale circa al IX secolo. La morte di Patroclo, per mano di Ettore (chiedo scusa per lo spoiler), scatena l’ira di Achille. Che decide di vendicarlo.
A quei tempi le relazioni tra eroi in guerra erano frequenti, ma non solo.
Le coppie omosessuali erano espressione dell’amore pederastico, al quale era riconosciuto un ruolo educativo.
L’uomo adulto, erastes, aveva il compito di introdurre alla conoscenza, anche erotica, il giovane, eromenos.
Purtroppo il termine pederasta, con il quale si arrivò a identificare gli omosessuali, assunse una connotazione dispregiativa.

Antica Roma: l’omosessualità virile

L'omosessualità nella storia. Dimostrare di essere forti e virili

Tra i filosofi greci da ricordare, e da studiare (tutti ci siamo passati), c’è Platone.
Il quale, nell’immaginare e descrivere una società ideale, esaltò l’eterosessualità.
Ed è di suo pugno la distinzione tra i rapporti secondo natura, kata physin, e contro natura, para physin. Con la quale affermò che solo i kata physin, in quanto portavano alla procreazione, erano conformi alle norme sociali.

Platone non giudicò mai moralmente sbagliati i rapporti omosessuali.
Certo è che il suo pensiero, venne interpretato e sfruttato per le future discriminazioni.

Già nell’antica Roma iniziò a mutare la concezione dell’omosessualità.
Il termine “fottere” deriva da futuere, e per i romani era considerato virile sodomizzare i nemici in guerra. E si arrivò a creare una separazione tra l’omosessuale attivo e quello passivo, biasimato e visto come la controparte sottomessa e femminile.
Allo stesso Giulio Cesare venne dato l’appellativo di “Regina di Bitinia”, in quanto da giovane aveva avuto una relazione con il re di Bitinia, Nicomede IV.

Dare della femminuccia per sminuire l’uomo ha radici belle profonde.
Dal momento che nell’antichità, la donna era ritenuta inferiore.
E il motivo è dovuto al tipo di società, fondata su sistema patriarcale.

Società patriarcali e omofobia

Persone società diversità

Il punto di svolta lo segna il credo cristiano-cattolico, che con la Bibbia mette nero su bianco le basi dell’omofobia.
Ma perché un testo che parla di un uomo misericordioso, pronto ad aiutare il prossimo, denigra i rapporti tra due uomini?

La società del tempo assegnava ruoli precisi a donne e uomini.
E se le prime erano legate alla sfera della casa, della procreazione e dei figli, i secondi detenevano il potere.
L’omosessualità, come ha spiegato Paolo Pedote in Storia dell’omofobia, minava tale divisione dei ruoli, mettendo in discussione la stessa differenza di genere.
Gli uomini omosessuali perdevano il loro status di padroni, mentre le donne rinnegavano il loro ruolo di madre.

Con l’arrivo al potere degli imperatori cristiani, la situazione si fece più rischiosa.
Se prima erano derisi o malvisti, il Codice di Teodosio del 438 d.C. definiva l’omosessualità un crimine e chi veniva scoperto a praticarla era punito con il rogo.
Proprio come alcune donne condannate per stregoneria. E per mascherare l’odore dei corpi bruciati, forte e difficile da sopportare, veniva usato del finocchio.
Da qui l’appellativo odierno.

Il principio espresso nel Codice venne poi confermato dal Corpus iuris civilis di Giustiniano, risalente al VI secolo d.C. Alla base del diritto nei Paesi Occidentali e che introdusse il concetto di “atto contro natura”.

Un po’ di respiro con l’Umanesimo

Umanesimo e Rivoluzione Francese, la svolta storica

Dopo secoli di condanne, grazie alla riscoperta della letteratura classica le acque si placarono.
A Firenze, senza curarsi troppo delle leggi in vigore, tra aristocratici e artisti divenne consuetudine circondarsi di ragazzi giovani e belli.
Michelangelo Buonarroti dedicò 30 componimenti d’amore al giovane Tommaso Cavalieri. Mentre Niccolò Machiavelli, bisessuale, in una lettera a Francesco Vettori del 1514, parlava delle avventure di un amico “a caccia di uccelli” che ben presto trovò un “tordellino”.

Non c’è da stupirsi se all’epoca, in Germania, la parola florenzer (fiorentino) era sinonimo di omosessuale. Anche se le cose non andavano diversamente in altre città italiane.

La rivoluzione francese segna la vera svolta

Nel 1791, con l’arrivo dell’Illuminismo, omosessualità e stregoneria vennero definiti reati immaginari. Venne così abolita la pena capitale.
E a dare la vera svolta fu il codice napoleonico, secondo il quale il rapporto tra omosessuali consenzienti era legale.

Napoleone estese tale legge a tutti i paesi conquistati, e a rimanere esclusi furono il Regno di Sardegna e lo Stato Pontificio, in cui vigeva il Regolamento gregoriano. Secondo il quale si trattava di un reato da punire con l’ergastolo.

Positivismo e natura

Positivismo e natura: il caso di The Imitation Game

Nell’Ottocento, in Francia, ebbe inizio il Positivismo. Il movimento culturale che esaltava il progresso scientifico.

In questo clima di entusiasmo nei confronti della scienza, si cercò il suo appoggio per riconoscere l’omosessualità come naturale. E non più come un vizio, simbolo di una morale corrotta.

Le cose non andarono come si sperava, perché medici e psichiatri tolsero gli omosessuali dalle pene dell’inferno per richiuderli in manicomio.
Secondo Cesare Lombroso, gli omosessuali soffrivano di una malattia ereditaria favorita dall’eccessiva masturbazione. Mentre Sigmund Freud definiva l’omosessualità una nevrosi.

Ritenuta erroneamente una malattia, si provò a curare l’omosessualità con svariati metodi. Tra cui le iniezioni ormonali, a cui venne sottoposto anche il matematico Alan Turing, della cui storia parla il film The Imitation Game.

Il gioco si fa pericoloso

Il gioco si fa pericoloso

È proprio a partire dagli anni Trenta che i testi del passato vengono re-interpretati secondo le esigenze del periodo. Ossia rafforzare il concetto di società patriarcale, su cui si erano basati i popoli greci e romani.

L’ideale maschile descritto dallo stesso Mussolini era ipersessuato, forte, violento ed etero. Fondamenta dure da eliminare, sulle quali si costruisce ancora oggi.

Circa diecimila omosessuali uomini finirono la loro vita nei campi di concentramento.
A identificarli un triangolo rosa rovesciato. Un modo per schernirli, associarli alla femminilità.

In quanto ritenuto il sesso debole, le donne omosessuali non vennero perseguitate dalle leggi naziste allo stesso modo degli uomini.
Il loro simbolo era il triangolo nero rovesciato, che le indicava come asociali.
Ad avere lo stesso simbolo erano anche le prostitute, le socialiste e le comuniste. In quanto ritenute una minaccia ai valori ideologici delle famiglie del Terzo Reich.

E oggi come va?

Frequently asked questions

Oggi va che il passato ci condiziona ancora, invece che insegnarci.
Questo perché si fa fatica a uscire dalla comfort zone storica, se così possiamo dire. Nella quale alcuni si sono ritrovati, non per scelta, ma per tradizione e società.

Questi concetti, tramandati di generazione in generazione, rendono difficile accettare i cambiamenti. Come una donna che punta alla carriera invece che alla famiglia, o l’uomo sensibile che preferisce la danza classica a una partita di calcio.
Frutto di una forzata assegnazione di ruoli che ormai stanno stretti.

Un commento

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