Buondì Quattrocchi!
Siamo già arrivati a novembre, il tempo è volato.
Questi sono stati mesi davvero pieni, sia a casa sia a lavoro, e la cosa che preferisco per staccare e rilassarmi è leggere.
La Quattrocchi Reading Challenge continua e nella sezione “libri pubblicati quest’anno”, ho inserito Il pescatore di utopie, di Lorenzo Bonnani e pubblicato da Affinità elettive edizioni – o Edizioni ae.
Si tratta di una collaborazione con l’autore stesso, che ci ha inviato il libro per recensirlo.
Di cosa parla questo romanzo?
Chi sono i protagonisti?
Sono pronta a rispondere a queste domande e a condividere il mio punto di vista, ovviamente senza spoiler! E come sempre attendo il tuo nei commenti 😉
Il pescatore di utopie: trama e protagonisti
Dal titolo non si direbbe, ma si tratta di un giallo a tema finanza.
Tutto ha inizio con l’assegnazione di BTP (quotazioni, dossier titoli) a un numero sempre crescente di persone non abbienti.
L’evento ha inizio a Palermo e prosegue verso Ancona, fino a colpire Bologna, Monza e Roma.
La cosa non insospettisce solo bancari e polizia postale, ma anche la mafia, che da tutta questa generosità inizia a sentirsi minacciata.
A condurre le indagini del BTP-gate è Vittorio Petrelli, consulente finanziario di Ancona, aiutato dal vecchio amico Edoardo.
Una ricerca che li porterà fuori dai confini italiani, dove li attende la risoluzione del mistero.
Una storia particolare, che parte dalle difficoltà economiche presenti in Italia per costruire un giallo con un tono alle volte ironico.
Purtroppo, però, dal mio punto di vista si tratta di un testo poco coinvolgente, nel quale manca la morsa tipica dei gialli o dei thriller, quella sensazione crescente di dubbio e a volte di angoscia che ti spinge a voler scoprire di più.
Le ragioni sono soprattutto tre.
1. Narrazione poco fluida, carica di aggettivi e termini altisonanti
Il meditabondo Petrelli si grattò il mento, quindi il naso e infine il cranio scarsocrinito. Omise le orecchie. Poi decise di cogliere in contropiede gli interlocutori: «Cari voi, non mi preoccupo tanto di quelli che i BTP li hanno trovati nella cornucopia, quanto di tutti gli altri che non li hanno ricevuti sotto l’albero di un precoce Natale. Saranno questi ultimi a organizzarsi e fomentare disordini sociali. L’invidia e il rancore sono brutte bestie, ne vedrete delle belle».
Il romanzo presenta una narrazione poco fluida, resa tale dalla presenza eccessiva di aggettivi e termini altisonanti. Cosa che risulta essere fuori luogo, soprattutto nelle descrizioni più intense, di ragionamento o dove i personaggi dovrebbero trasmettere i loro timori. Un esempio è proprio il termine scarsocrinito, che poteva essere sostituito da termini di uso più comune e, a livello di lettura, più leggeri.
Il dorico si produsse in un caloroso auto-applauso nell’animo: era proprio Edo il nome della persona che avrebbe voluto sentirsi proporre dalla moglie. Perfetto.
Ci sono poi aggettivi che tornano nel testo molto spesso. Quello più utilizzato è dorico, che viene affiancato a persone – per esempio femmina dorica – e luoghi in modo continuo.
Per quanto non si tratti di un termine errato, finisce per risultare pesante e di troppo.
2. Dialoghi e personaggi poco caratterizzati, non c’è immedesimazione
Il dorico esordì: «Ciao Luca, come va? È un po’ che non ci si vede. Lo sai, mi sento ancora molto legato a Bologna, dove ho abitato e lavorato per dieci anni e in cui i miei figli hanno frequentato l’Università. Mi spieghi meglio cos’è successo in banca? Ieri mi accennavi a strane operazioni in BTP».
Un aspetto da non trascurare nei romanzi è la caratterizzazione dei personaggi.
A parte Vittorio Petrelli, il protagonista, con il quale comunque fatico a immedesimarmi, tutti gli altri sono personaggi di sfondo, dei quali veniamo a sapere i soprannomi e cosa ne pensa il narratore. Un narratore che, per quanto esterno, si sovrappone fin troppo al protagonista.
Un esempio è la moglie di Petrelli, Ambra, che spesso perde il suo nome e diventa moglie, femmina dorica, oppure viene citata dal narratore attraverso il cognome, Tranquilli.
Una figura che sembra essere stata inserita solo per far tornare a casa il protagonista o per dare consigli, dei quali spesso veniamo avvisati attraverso il narratore e non tramite i dialoghi.
Per quello che riguarda gli altri personaggi – un numero molto elevato, tra l’altro, per essere un romanzo di quasi 200 pagine –, si intuisce che sono stati presi dalla realtà vissuta dall’autore.
Sono nomi di amici e parenti, inseriti nel romanzo anche attraverso la loro reale occupazione lavorativa.
Questo è abbastanza naturale, sono molti gli autori e la autrici che ammettono di avere inserito caratteristiche di persone conosciute all’interno dei propri romanzi. Così come si scelgono luoghi esistenti e frequentati per ambientare la storia.
Il fatto, però, è che si tratta di un’arma a doppio taglio: conoscendo già quelle persone, si potrebbe dare per scontato che se ne capiscano le caratteristiche e i modi. È importante, invece, presentare queste persone a chi legge, per sentirle più vicine e dare loro una forma.
Cosa che purtroppo non accade in Il pescatore di utopie, nel quale anche i dialoghi risultano troppo costruiti e poco realistici, sempre a causa di termini altisonanti. Alle volte affiancati a parole opposte, come baby.
3. La mafia
Nell’alzarsi dalla panchina, Salvatrice, forse per ricordare all’uomo per conto di chi lavorasse, si congedò con un’espressione seria: «Sapevo che tu, Vittorio», passando addirittura al tu, ma come si permetteva l’impudente, «avresti capito. E scusaci tanto se, nel frattempo, purtroppo un mio collega frettoloso, meschino, ha sgonfiato le ruote della macchina di tua figlia Azzurra, a Monza. Non è niente. […]»
Come ti dicevo, la mafia ha un ruolo importante in questo romanzo: il fatto che persone con debiti ricevano dei dossier titoli non è molto gradito.
Il problema è che quando si inserisce un argomento delicato come questo bisogna stare attenti a come lo si affronta.
Soprattutto se si decide di usare come tramite una donna definita attraente, che attraverso i discorsi passa come “l’artiglieria pesante” inviata dalla mafia.
Anche perché non si parla di mafia sempre allo stesso modo, non tutti devono essere Roberto Saviano, si può anche pensare di descrivere la mafia tramite le sue caratteristiche principali, anche con una certa ironia, come in Giulia 1300 e altri miracoli.
«[…] Stragi non ne abbiamo mai compiute, solo qualche ammazzati ogni tanto.
Acqua fresca»
Qui, invece, non c’è equilibrio tra la scena più ironica e quella seria, con la quale provare timore.
Così facendo il discorso risulta semplicistico, e sembra che i dati inseriti vengano da una conoscenza superficiale dell’argomento.
Conclusioni: cosa avrei voluto da questo romanzo?
In generale mi aspettavo una narrazione più coinvolgente: sia attraverso i pensieri del protagonista, sia tramite il narratore stesso.
I capitoli presentano un passaggio da una scenario all’altro, e rendono ogni scena allo stesso tempo troppo repentina e densa.
Questo perché a ogni situazione è dedicato un paragrafo, più o meno lungo, in cui compaiono le formule citate al primo punto.
Avrei preferito che il narratore ampliasse la descrizione di certi momenti, evitando di doverli dire in modo diretto, formula che toglie al lettore l’opportunità di scoprire i personaggi un po’ per volta.
Un capitolo che ho apprezzato per questo, è il quinto: qui i due amici, Vittorio ed Edoardo, parlano, si confrontano, prendono forma e la vicenda diventa anche più interessante.
In ogni caso, molti degli errori presenti sono tipici di chi è ancora uno scrittore agli esordi, tutte cose che dovrebbe smussare la casa editrice, in questo caso Edizioni ae, che di solito si occupa di memorialistica e testi storici, una tipologia di testo molto diversa dal romanzo.
Tu cosa ne pensi Quattrocchi?
Conosci la casa editrice e il libro?
Fammi sapere cosa ne pensi nei commenti, e nel caso ti interessi scoprire di più, ti lascio l’intervista all’autore fatta da TVRS, ora disponibile su YouTube 🤓