A quale team appartieni: Holmes o Poirot?

A quale team appartieni: Holmes o Poirot?

Tempo di lettura 7 minuti

Ammiro molto l’arte di scrivere un giallo: riuscire a costruire una fitta rete di indizi, possibili colpevoli e moventi.
Eppure mi sono avvicinata alla narrativa poliziesca solo all’università, quando ormai avevo rivisto le puntate di CSI Las Vegas, La signora in giallo o Law&Order così tante volte da capire che avevo bisogno di cambiare aria.

Così sono andata verso l’investigatore più famoso, o che almeno per me era il più famoso: Sherlock Holmes, di cui esistono una buona dose di varianti. Alcuni più fedeli di altre.
Il problema è che con Holmes non è scattata la scintilla, anzi, sono stata presa da una profonda frustrazione.
Poi un giorno ho preso in mano Un cavallo per la strega di Agatha Christie, un romanzo a se stante che mi ha conquistata per la genialità con cui l’autrice aveva seminato indizi e a quella narrativa fresca, ponderata e fluida.

È così che mi sono addentrata nel mondo di Agatha facendo conoscenza di Hercule Poirot.

Ora, che io prediliga l’investigatore belga rispetto a quello inglese è già chiaro.
Non è però mia intenzione scrivere un articolo a senso unico da tipica fangirl, quindi ti propongo un confronto tra investigatori e punti di vista.
Io e Arianna parleremo dei due investigatori storici più famosi e siamo proprio curiose di sapere a quale team appartieni: Holmes o Poirot?
O forse ce n’è un altro (o un’altra!) di cui vorresti parlarci? Ti aspettiamo nei commenti 😏

Sherlock Holmes: l’investigatore inglese di Sir A. C. Doyle

Jeremy Brett as Sherlock Holmes

Io e Francesca, non solo siamo d’accordo, ma abbiamo fatto lo stesso percorso!
Alla tua lista, aggiungo anche Criminal Minds che mi ha appassionato per tante stagioni, proprio perché entrava nella mente dei criminali e ne sviluppava la psicologia contorta.
Ma avevo bisogno di cambiare punto di vista. Ed è qui, Fre, che le nostre strade si dividono, perché per me è stato l’opposto!
L’investigatore belga non mi ha affascinato, mentre al 221B di Baker Street sono stata quasi “in pellegrinaggio” quando ho visitato Londra.

Eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per improbabile che sia, dev’essere la verità.

Il Segno dei Quattro, Arthur Conan Doyle

Leggere i racconti e i romanzi di Arthur Conan Doyle, che hanno Sherlock Holmes come protagonista, significa cimentarsi nella logica più sottile e più ferrea.
Ogni dettaglio, anche il più insignificante – uno stivale smarrito, un cane che non abbaia, un colore di capelli –, acquista un’importanza cruciale. E più si avanza nella lettura più si impara a non lasciare nulla al caso.

Arthur Conan Doyle ha creato il detective per antonomasia: colui che non si è lasciato irretire dalle leggende di vampiri e mastini infernali, e ha svelato la realtà umana, rendendola tangibile.
Eppure, Arthur Conan Doyle è lo stesso che ha difeso a spada tratta l’autenticità delle foto delle Fate di Cottingley, che ha litigato con Harry Houdini proprio perché non condivideva la sua passione per lo spiritismo e che è risaputo quanto fosse arrivato a detestare il suo personaggio più celebre, perché il pubblico preferiva quello agli altri suoi scritti.

Ho sempre trovato affascinante questa dualità della mente dell’autore, capace di investire tanto nell’indagine scientifica quanto nella pseudoscienza la stessa bramosia di sapere e la stessa caparbietà.

Lo stile delle avventure di Sherlock Holmes

La prima particolarità che mi ha colpito delle avventure del detective di Baker Street è che l’autore non si identifica con il protagonista, ma con il suo braccio destro, Dr. Watson. Personaggio costruito a sua immagine e somiglianza, e che rappresenta tutto quanto manca a Holmes:

  • una disciplina di vita o, per meglio dire, un legame con l’esistenza materiale al di fuori dei suoi meccanismi mentali. Basti pensare ai rimproveri da medico e amico che gli rivolge in Il Segno dei Quattro in merito all’uso di droghe;
  • un affetto sincero – in L’avventura della casa vuota, quando Holmes ricompare di fronte a Watson che lo credeva morto, questi sviene;
  • ed è anche un biografo provetto! In Uno Scandalo in Boemia Holmes afferma apertamente: “Sarei perso senza il mio Boswell” ovvero il suo cronista di fiducia).

Le storie che li vedono come protagonisti non hanno mai la stessa struttura: furti, rapimenti, omicidi, ricatti…
L’unica cosa che li accomuna è il metodo con cui il detective li affronta, cioè la precisa acquisizione di elementi che compongono un disegno logico ben preciso.

La sua arte è quella di saper cogliere dati utili dove chiunque di noi vedrebbe soltanto dettagli trascurabili. Perché, come spiega lo stesso Holmes in Il Mastino dei Baskerville e in Uno Scandalo in Boemia, l’uomo medio vede senza osservare.

Perché sono del Team Holmes

Il metodo di indagine di Sherlock Holmes mi è rimasto così impresso che ancora oggi lo uso per trovare le cose in casa quando le perdo.
E funziona.

Sherlock Holmes è un personaggio pressoché surreale.
Non per le sue doti deduttive stupefacenti, ma per il suo modo di esistere all’interno della sua stessa mente e al di là della vita comune. Capace di carpire tutte le informazioni e filtrare soltanto quelle utili ai suoi scopi.
È inutile girarci intorno: un uomo che incide le iniziali V.R. (“Victoria Regina”) sul muro di casa sua a colpi di pistola (Il Rituale dei Musgrave) o lo si ama, o lo si detesta.
Io appartengo al primo gruppo.

Leggere Sherlock Holmes, o anche seguire la serie tv tratta dagli scritti di Conan Doyle con Jeremy Brett come protagonista, mi ha insegnato a sviluppare il pensiero logico – deduttivo, ad approfondire e conoscere.
Mi sono resa conto solo in seguito che questa forma mentis mi accompagna sin da quando leggo altri generi.

Come Arthur Conan Doyle, sono combattuta: una parte di me vorrebbe essere come Holmes, ma per carattere sono troppo incline ai sentimenti e alle grandi passioni. Aspetti che, secondo il detective di Baker Street, offuscano il giudizio.
C’è una citazione, tuttavia, che mi ha particolarmente colpita fin dalla prima volta che l’ho incontrata, un tratto che penso di avere in comune con Sherlock Holmes:

La mia mente si ribella al ristagno.

Il Segno dei Quattro, Arthur Conan Doyle

Hercule Poirot: l’investigatore belga di Agatha Christie

Agatha Christie è stata una scrittrice prolifica e molto influente nel 1900, e prima ancora una vorace lettrice.
Era infatti una fan dei libri gialli e ammirava molto le opere di Doyle.
E sembra, tra l’altro, che nel 1926 la Christie scomparve e che Doyle regalò a una medium un guanto della scrittrice nella speranza di ritrovarla.

Strane storie e dicerie a parte, Agatha Christie ebbe una vita fatta di viaggi – visitò Il Cairo e Instanbul, viaggio sull’Orient Express per Baghdad dove conobbe il secondo marito – e lavorò come infermiera durante la Prima Guerra Mondiale.
Una vita che le permise di creare opere dettagliate, interessanti e capaci di farci viaggiare per il mondo.

I personaggi più celebri di cui ha scritto sono l’anziana e arzilla Mrs Marple e l’investigatore Hercule Poirot, famoso per i suoi baffi impomatati, l’amore per l’ordine e la testa a forma d’uovo.
Ecco: il mio attaccamento a Poirot è nato proprio da questi tre aspetti distintivi.
Hercule Poirot ha un nome altisonante e dall’ego spropositato, mentre l’aspetto è l’esatto opposto: è un uomo di bassa statura, è tanto pignolo da dare sui nervi, esige la perfezione anche dalle uova – le rimira e le misura chiedendosi perché le galline non le facciano uguali – ed è un divo, come la stessa Christie lo definisce.

Sembra la macchietta di un investigatore, un uomo che tutti sono disposti a sottovalutare e da cui vengono incastrati senza alcuna pietà.
Il modo che ha di sminuire Hastings, il suo fidato amico, è a tratti crudele oltre che comico. Eppure sa dimostrarsi buono, attento e rispettoso delle debolezze altrui.

Lo stile di Agatha Christie

I suoi romanzi presentano una struttura simile: viene commesso l’omicidio, Poirot indaga e raduna tutti per svelare in modo plateale il colpevole.
Non sempre va così, ma la maggior parte delle volte – Poirot è pur sempre un uomo teatrale.

A rendere ogni romanzo intrigante sono tre aspetti:

  • la scrittura descrittiva, fondamentale per darci la piena visibilità dei dettagli;
  • i dialoghi realistici;
  • e i personaggi ben caratterizzati, che danno al mondo costruito una veridicità maggiore.

L’ispirazione a Doyle è palese. Non solo per sua ammissione, ma Agatha Christie ha preso spunto da Doyle su più fronti: Lestrade viene sostituito dall’ispettore Japp mentre Watson con Hastings. Pur essendo personaggi molto diversi a livello caratteriale, Hastings come Watson è stato in guerra, e allo stesso modo tiene un resoconto delle vicende dell’investigatore.
La vicinanza alla scrittura di Doyle la si può notare soprattutto nei racconti in cui è Hastings la voce narrante, che in quanto tale ci impedisce di vedere con gli occhi di Poirot.
Questa visuale parziale delle vicende mi rende una lettrice inerme, cosa che nei romanzi di Agatha Christie non accade. Rispetto a Doyle penso proprio che la maggiore qualità dell’autrice sia quella di condurre il lettore alla scoperta della verità.
Non è facile conoscerla, eppure se si mettessero insieme i vari punti – sfruttando le celluline grigie come dice Poirot – sarebbe possibile arrivare al colpevole.
E nel caso sia effettivamente troppo complesso, questa tipologia di scrittura risulta coinvolgente e non mette da parte il lettore.

Uno degli escamotage che più non sopportavo dei romanzi di Doyle era quello di fare sparire Holmes, per poi farlo tornare con la risposta.
Non ho letto tutta la saga, ma i romanzi a cui mi sono approcciata mi hanno delusa proprio perché focalizzati sulla grandiosità di Holmes.

Fermi tutti: come dicevo anche Poirot non scherza in quanto a egocentrismo. È misogino in un modo così velato da farti pensare di essertelo immaginato, e non c’è pagina in cui non venga decantata la sua abilità.
Penso che a fare la grande differenza sia il punto di vista femminile.

Ecco perché sono team Poirot

Agatha Christie ha messo nero su bianco alcune delle problematiche quotidiane del suo tempo. E farlo tramite un personaggio che è una caricatura dell’uomo bianco pieno di sé penso sia stata una mossa vincente.
Nonostante i suoi difetti e le sue vittorie, Poirot non ci mette a disagio. È una figura con cui possiamo rapportarci, che per quanto sia in una situazione di privilegio non ci fa sentire inetti.
Mi piace il suo ripetere di usare il cervello. Mi piace che per lui avere lo stomaco in subbuglio significa avere difficoltà a stare concentrati – un tratto in cui mi riconosco, tra l’altro.
Tutto questo lo mette alla nostro portata, e trovo che Agatha Christie riesca a mantenere stabile questo nostro rapporto con Poirot in ogni romanzo.

Se dovessi scegliere il romanzo con Poirot che preferisco in assoluto, sceglierei Corpi al sole: uno spettacolo, soprattutto da leggere in spiaggia.
E per capire tutto il talento di Agatha Christie nel creare l’intrigo perfetto, anche se non c’è Poirot, direi senza dubbio Dieci piccoli indiani.

Nessuno dei due fa parte del giro del mondo con i libri, ma c’è Assassinio su Nilo, che comunque ha un effetto a sorpresa davvero interessante!

E tu che team sei: Holmes o Poirot? 🥸
Scrivilo nei commenti con anche il tuo libro giallo preferito 💛


2 commenti

  1. Fabio Biagini

    Ciao PdQ, ottimo articolo e molto interessante l’approccio X vs Y. Io però avrei una terza proposta, la mia preferita, anche se non si tratta di libri ma serie TV: il Tenente Colombo. È il mio preferito perché, ispirandomi anche ad una recensione di Arianna sul film “Cena con delitto – Knives Out” (che ho visto dopo aver letto l’articolo ndr) Colombo è sciatto, inaffidabile e, a tratti irritante, ma sorprendente. Ho sempre apprezzato questa serie TV perché ha l’approccio inverso: conosci il colpevole ma ti intriga seguire il protagonista su come riesce a scoprirlo, soprattutto con i colpi di scena accompagnati dalla classica frase “ah…un’ultima cosa…” quando il colpevole pensava di averla fatta franca.
    Per quanto riguarda questo articolo però, attualmente non ho una posizione precisa in quanto conosco meglio Holmes di Poirot quindi mi prometto di informarmi leggendo dei romanzi di Agatha Christie per cercare di avere un’opinione il più obiettivo possibile.

  2. SERGIO BERETTA

    Poirot? Si! Sto vedendo la Sua Serie Completa su Amazon Prime. A volte mi fa sorridere, ma mostra alcune deformazioni Professionali che in Adrien Monk Sono fobie, ma è questo il Mistero intrigante che mi Affascina, e Tutto Viene Chiarito con il Famoso Assioma “Eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per improbabile che sia, dev’essere la verità” senz’altro Deduttivo (metodo di Sherlock Holmes), ma anche Induttivo, in un certo senso, poiché avendo Sufficienti Asserzioni Particolari (Idee, Indizi e Prove) si Possono Creare dei (Vulnus e Dejavù) Precedenti che Arricchiranno l’Esperienza dell’Investigatore. La Verità della Realtà, anche la più atroce e Agghiacciante, non è Teorica, Ha sempre dei riscontri nelle Coincidenze, non come casuali, ma come sincronicità, e la Verità, nei Libri di Sir Artur Conan Doyl e di Agatha Christie, è sempre Puntuale alla Soluzione del Caso- Buon Anno a tutti Voi.

Qual è il tuo punto di vista?